DATA/PERIODO: seconda metà XIX sec.
MISURE: larghezza: 15 cm, lunghezza: 15 cm, altezza: 48 cm.
MATERIALE: legno, vetro, ottone, carta, zinco, acido solforico
N° INVENTARIO: 515
La pila di Alessandro Volta fu presentata in una lettera rivolta a Joseph Banks, presidente della Royal Society di Londra, datata 20 marzo 1800, in cui lo stesso Volta ne diede anche la prima descrizione.
Del tutto simile all'originale, l'apparecchio a colonna dell’Istituto Messedaglia è costituito da una successione di coppie di dischi di rame e zinco, alternate a stoffa imbevuta di soluzione acquosa di acido solforico o di altro elettrolita; tre bastoni di vetro mantengono incolonnati tutti questi elementi. La differenza di potenziale è essenzialmente dovuta al contatto fra due diversi metalli; la presenza dell'elettrolita consente di mantenere questa tensione e l’acqua contribuisce a rendere la corrente più intensa. Ai due estremi della catena di conduttori sono fissati due ganci per il collegamento con i reofori che vanno a chiudere il circuito.
Una pila di questo tipo si polarizza rapidamente, perdendo la sua capacità di mantenere differenza di potenziale, a causa delle sostanze che si sviluppano o aderiscono alle superfici metalliche durante il funzionamento. Essa presenta inoltre un’elevata resistenza interna che ne riduce le possibilità d'impiego. La disposizione dei dischi non impedisce la fuoriuscita del liquido elettrolitico, il quale tende ad evaporare piuttosto velocemente. La comunità scientifica del tempo si mobilitò per migliorare lo strumento assieme al suo stesso inventore. Giuseppe Zamboni realizzò il prototipo più efficiente e funzionale, più semplice ed economico rispetto a quello del francese Jean-André De Luc.
Disegno tratto da A. Ganot,"Trattato elementare di fisica sperimentale ed applicata e di metereologia", 1861, pag 419, fig 450.