Bilancia idrostatica

 
DATA/PERIODO: seconda metà XIX sec.
MISURE: larghezza: 60 cm, lunghezza: 37 cm, altezza: 71 cm.
MATERIALE: legno, ottone, piombo.
N° INVENTARIO: 533

 

Galileo modificò la bilancia con principio idrostatico ideata da Archimede e ne descrisse il funzionamento nel trattato “La bilancetta" del 1644. Questo strumento presenta un albero verticale in cui è inserita un’asta metallica, nella quale si innestano i due bracci che sostengono i due piattini. Il giogo può essere regolato grazie ad un’asta dentata controllata da un rocchetto (C). Un nottolino (D) trattiene l’asta quando si è sollevata. I due piatti terminano nella parte inferiore con un gancio al quale si possono appendere gli oggetti. Lo strumento è corredato da due cilindri: uno è cavo e l’altro pieno, con la cavità del primo che è di volume pari al secondo. La bilancia è dotata di un indice ma non necessita di scala graduata in quanto le misure si effettuano esclusivamente in condizione di equilibrio. 

Per verificare la legge di Archimede occorre sospendere i due cilindri sotto uno dei piattini con il cilindro pieno appeso sotto il cilindro bucato. Sull’altro piattino si aggiungono delle masse fino a raggiungere l’equilibrio. A questo punto si immerge completamente il cilindro pieno in acqua, a causa della spinta idrostatica, l’equilibrio si altera. Se ora si riempie d’acqua il cilindro cavo l’equilibrio è ripristinato. Questo dimostra che la spinta di Archimede è uguale al peso della massa immersa. L‘utilizzo di questo strumento permette di calcolare la densità dell’oggetto immerso: si misuri la massa dell’oggetto con i pesetti sull’altro piatto della bilancia, lo si immerga in acqua e si ristabilisca l’equilibrio con una massa aggiuntiva; la sua densità è data dal prodotto tra la densità del liquido e il rapporto tra la massa dell’oggetto a secco e la massa addizionale. È possibile anche calcolare il peso specifico dell’oggetto facendo il rapporto tra il suo peso in aria e la differenza tra il suo peso in aria e in acqua.

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Disegno tratta da: Ganot,  “Trattato elementare di fisica", 1861, pag. 64.

  

 

 

 

 

 

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